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martedì 1 aprile 2014

Cosa Nostra...notizie dal web.




Con l'espressione Cosa nostra si è soliti indicare un'organizzazione criminale di stampo terroristico-mafioso[2] presente in Sicilia dagli inizi del XIX secolo e trasformatasi nella prima metà del XX secolo in una organizzazione internazionale.
È costituita da gruppi, chiamati famiglie, organizzati al loro interno sulla base di un rigido sistema gerarchico, composto da gregari di diverso livello. L'intero territorio controllato è suddiviso in "mandamenti". Questi possono inglobare due o più quartieri in città oppure due o più paesi in provincia. Ogni mandamento è composto da famiglie che, insieme, eleggono un "capo mandamento" che rappresenta le stesse nella "commissione provinciale". Ogni capo mandamento elegge un sottocapo e da 1 a 3 consiglieri. Il grado immediatamente sotto è il "capo decina" che comanda direttamente parte dell'esercito delle famiglie: i "picciotti". Un ulteriore livello di importanza è il rappresentante della provincia che fa gli interessi di quest'ultima nella "commissione interprovinciale".
Con il termine "Cosa nostra" oggi ci si riferisce esclusivamente alla mafia siciliana (anche per indicare le sue ramificazioni internazionali, specie negli Stati Uniti d'America), per distinguerla dalle altre, internazionali, genericamente indicate col termine di "mafie".
Gli interventi dello Stato, che in passato aveva trascurato anche volutamente il problema, si sono fatti più decisi a partire dagli anni ottanta. In ciò grande merito ha avuto il Pool antimafia, creato dal giudice Antonino Caponnetto di cui facevano parte i magistrati Giuseppe Di Lello, Leonardo Guarnotta, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Costoro, anche a costo della loro vita, hanno distrutto il cuore di Cosa nostra, dimostrandone la reale esistenza e garantendo la possibilità di punirne gli adepti. Fino ad allora l'impunità dei suoi membri era pressoché garantita attraverso infiltrazioni politiche e nei palazzi di giustizia.
Negli anni novanta la Sicilia venne militarizzata allo scopo di liberare gli organi di Polizia dalle attività di piantonamento, lasciandoli liberi di dedicarsi in pieno alle indagini e alla ricerca dei latitanti.
Nel 2006, l'arresto dopo una latitanza record di 43 anni del superlatitante Bernardo Provenzano ad opera della Procura Antimafia di Palermo ha inflitto un ulteriore duro colpo all'organizzazione, che ora sta probabilmente subendo l'evoluzione in Stidda (sempre di stampo mafioso ma meno potente e pericolosa).
Anche economicamente Cosa nostra ha subito un ridimensionamento, ciò anche a causa dell'applicazione della legge sul sequestro dei beni e il contestuale aumento di potere della 'Ndrangheta, che ha assunto il controllo e il predominio del traffico internazionale di droga.
Storia
Origini
"Cosa nostra" nacque nei primi anni del XIX secolo dal ceto sociale dei massari, dei fattori e dei gabellotti, che gestivano i terreni della nobiltà siciliana, avvalendosi dei braccianti che vi lavoravano. Cosa nostra, come tutte le altre mafie, nacque per la scarsa presenza dello Stato sul territorio, ed iniziò ad assumerne le funzioni. Era gente violenta, che faceva da intermediario fra gli ultimi proprietari feudali e gli ultimi servi della gleba d'Europa e, per meglio esercitare il loro mestiere, si circondavano di scagnozzi prezzolati. Questi gruppi divennero rapidamente permanenti assumendo il nome di "sette, confraternite, cosche". Il primo documento storico in cui viene nominata una cosca mafiosa è del 1837: il procuratore generale di Trapani, Pietro Calà Ulloa, riferisce ai suoi superiori a Napoli dell'attività di strane sette dedite ad imprese criminose che corrompevano anche impiegati pubblici. Nel 1863 Giuseppe Rizzotto scrive, con la collaborazione del maestro elementare Gaspare Mosca, I mafiusi de la Vicaria, un'opera teatrale in siciliano ambientata nelle Grandi Prigioni del capoluogo siciliano. È a partire da questo dramma, che ebbe grande successo e venne tradotto in italiano, napoletano e meneghino, che il termine mafia si diffonde su tutto il territorio nazionale. Fino ad allora la mafia si caratterizzava come una struttura al di fuori dello Stato, ma strettamente legata ad esso.
Lo sviluppo della criminalità organizzata in Sicilia è sostanzialmente attribuibile agli eventi contemporanei e successivi all'Unità d'Italia, in particolare a quella che fu l'acuta crisi economica da questa indotta in Sicilia e nel Meridione d'Italia. Infatti lo Stato italiano, non riuscendo a garantire un controllo diretto e stabile del governo dell'isola (la cui organizzazione sociale era molto diversa da quella settentrionale), cominciò a fare affidamento sulle cosche mafiose che, ben conoscendo i meccanismi locali, facilmente presero le veci del governo centrale.
La prima analisi esaustiva in cui venne espressamente usato il termine mafia fu compiuta nel 1876 da Leopoldo Franchetti, dopo la celebre inchiesta compiuta insieme a Sidney Sonnino, che venne pubblicata con il titolo Condizioni politiche e amministrative della Sicilia.
Ma la prima vera associazione mafiosa in Sicilia fu la "Fratellanza di Favara", una specie di setta che nacque nella provincia di Agrigento nel 1878 e si pensa che operò fino al 1883. Essa presentava una struttura piramidale: uno o più capi-testa comandavano più capi-decina, ognuno dei quali aveva sotto di sé non più di dieci affiliati. Inizialmente facevano parte di essa solo pastori, contadini, artigiani e zolfatai ma in seguito entrarono a farne parte pure i proprietari terrieri, rendendola molto potente.
Nel 1893, in seguito al delitto Notarbartolo, l'esistenza di Cosa nostra (e dei suoi rapporti con la politica) divenne nota in tutta Italia

La prima guerra mondiale e le sue conseguenze

Nel 1915, l'Italia entra nella prima guerra mondiale e vengono chiamati alle armi centinaia di migliaia di giovani da tutto il paese. In Sicilia, a causa della chiamata alla leva, i disertori furono numerosi. Essi abbandonarono le città e si dettero alla macchia all'interno dell'isola, vivendo per lo più di rapina. A causa della mancanza di braccia per l'agricoltura e delle sempre maggiori richieste di carne dal fronte, moltissimi terreni vengono adibiti al pascolo.
Queste due condizioni fanno aumentare enormemente l'influenza di Cosa nostra in tutta l'isola. Aumentati i furti di bestiame e l'abigeato, i proprietari terrieri si rivolsero sempre più spesso ai mafiosi, piuttosto che alle impotenti autorità statali, per farsi restituire almeno in parte le mandrie. I boss, nei loro abituali panni, si prestano a mediare tra i banditi e le vittime, prendendo una parcella per il loro lavoro.
Alla fine della prima guerra mondiale, l'Italia affronta un momento di crisi, che rischia di sfociare in una vera e propria rivolta popolare, ad imitazione della recente rivoluzione russa. Al nord gli operai scioperano e chiedono migliori condizioni di lavoro, al sud sono i giovani ritornati a casa a lamentarsi per le promesse non mantenute dal governo (in particolar modo quelle relative alla terra).
Moltissimi quindi vanno ad ingrossare le file dei banditi, altri entrano direttamente nella mafia e altri ancora cercano di riformare i fasci o comunque partecipano ai consigli socialisti siciliani.
Fu in questo clima di tensione che il fascismo fece la sua comparsa.

Durante la seconda guerra mondiale, numerosi boss italoamericani, in carcere negli USA (Lucky Luciano e Vito Genovese, per citare i più noti), furono contattati dai servizi segreti americani, chiamati all'epoca OSS (Office of Strategic Service), per essere impiegati con la promessa della libertà al fine di assicurare agli alleati il controllo sull'isola. Non furono contattati solo boss americani ma anche siciliani, come Vincenzo Di Carlo, Calogero Vizzini e Giuseppe Genco Russo.
Questi contatti avevano lo scopo di facilitare lo sbarco alleato sulle coste siciliane e successivamente, quando il controllo dell'isola era affidato agli alleati, a mantenere l'isola stabile dal punto di vista politico. In particolar modo, quando l'isola tornò sotto il controllo italiano, la mafia fu utilizzata, e quindi involontariamente le si permise di riprendersi dopo l'era di Mori, in funzione anti-socialista ed anti-comunista.

Processi contro Cosa nostra

Tra il 1967 e il 1968 si svolse a Catanzaro il cosiddetto "processo dei 114", istruito dal pubblico ministero Cesare Terranova, nel quale erano imputati tutti i principali boss mafiosi siciliani, accusati dei delitti avvenuti durante la prima guerra di mafia. Infine il processo si concluse con qualche condanna e assoluzioni di molti capimafia come Tano Badalamenti e Luciano Liggio.
Un altro esempio dell'immunità raggiunta dalla mafia è il processo di Bari, istruito sempre da Cesare Terranova, concluso in prima sessione l'11 giugno del 1969, nel quale erano sotto accusa di associazione a delinquere 64 persone del clan mafioso di Corleone, tra le quali Salvatore Riina, Bernardo Provenzano, Calogero Bagarella e Luciano Liggio, con la totale assoluzione di tutti gli imputati per insufficienza di prove (in realtà i giudici vennero minacciati pesantemente), nonostante un soldato dei corleonesi, Luciano Raia, testimoniò al processo gli omicidi commessi dai "peri 'ncritati" durante la loro scalata al potere mafioso all'interno del clan di Corleone. Le confessioni di Raia non portarono a nulla perché egli fu giudicato "insano di mente": spuntarono fuori dagli ospedali e dai manicomi giudiziari decine di certificati che attestavano delle presunte "crisi epilettiche".
È ovvio quindi che di mafia fino alla fine degli anni settanta, quando questa situazione iniziò a cambiare, lo Stato non voleva che si parlasse.

I mandamenti mafiosi attuali

La città di Palermo è divisa in otto mandamenti locali: Porta Nuova, Brancaccio, Boccadifalco Passo di Rigano, Santa Maria di Gesù, Noce, Pagliarelli, Resuttana e S. Lorenzo. L'intera provincia palermitana è ripartita in otto grandi mandamenti: Palermo, Partinico, San Giuseppe Jato, Corleone, Villabate, Belmonte Mezzagno, Gangi – San Mauro Castelverde (o delle Madonie).
La provincia di Agrigento è costituita da 9 mandamenti: Agrigento, Porto Empedocle, Canicattì, Cianciana, Ribera, Sambuca di Sicilia, Casteltermini, Lampedusa / Linosa, Palma di Montechiaro e Campobello di Licata. I mandamenti di Racalmuto e Favara sembrano essere stati assorbiti da quello di Canicattì. La famiglia Sciacca, a Sambuca di Sicilia, potrebbe assumere un autonomo profilo mandamentale.
La gerarchia mafiosa della provincia di Trapani continua ad essere improntata alla tradizionale struttura delle famiglie e dei mandamenti, con una Commissione provinciale destinata ad individuare le linee strategiche criminali. I mandamenti sono 4: Castelvetrano, Trapani, Mazara del Vallo e Alcamo.
La stessa area della provincia di Messina è divisa in tre zone, relative all'aggregato urbano del capoluogo, che risente delle connessioni con la 'Ndrangheta calabrese e alle due fasce di territorio che si distendono dai margini del capoluogo ai confini delle province di Palermo e Catania, poste sotto le influenze delle organizzazioni mafiose limitrofe. Oltre al capoluogo peloritano, vi sono altri due mandamenti rilevanti in questa provincia, il mandamento di Mistretta e il mandamento di Barcellona Pozzo di Gotto.
Nella provincia di Caltanissetta vi sono 4 mandamenti: Gela, Vallelunga, Riesi e Mussomeli.
La provincia di Enna continua a profilarsi come zona di retroguardia per Cosa nostra, di origine nissena, soprattutto, che ricorre ad alleanze con i gruppi operanti nelle zone limitrofe.
Nella provincia di Catania, le organizzazioni mafiose gestiscono preferenzialmente il conferimento illecito di appalti pubblici. Gli interessi sono divisi tra le diverse famiglie. Possono essere menzionati i clan Santapaola, Cappello, Arena, Mazzei, La Rocca, Scalisi, Laudani e i rapporti con esponenti delle famiglie palermitane.
La provincia di Siracusa registra l'incidenza della criminalità diffusa, accentuata da marginalità e devianza. Tra i clan egemoni sembrano esservi il clan Nardo di Lentini e il clan Urso-Bottaro-Attanasio di Siracusa.

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